Un fiume di biciclette in movimento!
In Burkina ti colpisce, ma non lo noti subito.
Raro trovare una bicicletta ferma e se lo è ha bucato una gomma ed i riparatori li riconosci perché stanno accovacciati su una camera d’aria con a fianco uno sgangherato secchio d’acqua sporca ed una pompa ….la loro officina.
Le biciclette poi, sono il riassunto di tutte le marche, non un pezzo uguale all’altro: due gomme diverse per larghezza e fattura, due cerchi diversi, due pedali diversi, persino le due leve dei freni spesso sono diverse per tipo e lunghezza. Poi, dietro, tutte hanno una “graticola” portapacchi non vuota, o c’è sopra della mercanzia o c’è una seconda persona: il trasportato.
E vanno! Vanno tutti con grande serietà.
Burkina il terzultimo paese più povero tra i 175 Stati del Mondo.
Ancora una cosa colpisce, le donne cicliste vestite con dignità e una certa grazia, gli abiti sono sempre colorati e, se larghi, svolazzano un po’ come bandiere. Spesso le trovi sulla gran pista della brousse, il deserto di terra rossa ed arbusti, a capo scoperto o protetto da turbanti di cotone sotto il sole, ad ogni ora con pacchi sul seggiolino, o taniche d’acqua ai lati o qualche “mazzo di polli” vivi appesi a testaingiu’ dietro, per la vendita; per un po’ sulla pista poi si infilano di lato in mezzo al nulla…verso chissàdove.
Di nuovo incontro un riparatore di gomme, piegato su una camera d’aria di colori diversi: sono le innumerevoli “pezze” che hanno riparato le tante forature.
Nel grande mercato di Goròm Goròm m’imbatto - tra un venditore di tessuti ed un cuoco on the road di carne arrosto (una rete metallica da letto a maglie larghe con sopra frattaglie di ogni tipo..e sotto carbone di legna) - in un assemblatore di bici, intento a fare una bici da corsa. Che sia da corsa lo si capisce dal manubrio e dal portaborraccia (con dentro una bottiglia vuota di..cocacola) per il resto è un tripudio di novità: se Andy Warhol si fosse presentato con un tale manufatto, sarebbe ora esposto in un museo di New York.
Un giovane aiutante gonfia (come salsicce) camere d’aria e le infila in una canna, al sole, in bella vista e così resteranno fino a sera in attesa di qualche compratore. Girato l’angolo della sua modesta officina ecco una rastrelliera di biciclette nuove fiammanti, azzurre e argento sono dieci robuste bici cinesi e attorno molti bambini che le guardano come noi forse guarderemmo una Ferrari da corsa.
Una domanda ogni tanto mi sento fare: “mais vous avez un vélo?”
G.V.
02 maggio 2010
Data della partenza. Partenza per dove? Burkina Faso.
Sono le 12:00 di domenica 2 maggio, alle 14.25 parte l’aereo, Bologna - Casablanca, Casablanca - Nimey (Niger), Ouagadougou. Un viaggio stancante forse (tutte queste tratte per pagare meno l’aereo), ma la stanchezza non la senti quando pensi a quello che devi fare, a quello che vai a conoscere e a quello che ti riempirà il cuore quando tornerai a casa.
Arrivo alle 2.50 della notte in BF, l’aria è calda, ho sempre sognato l’odore dell’Africa e di annusare l’aria come ho visto fare nei film e quindi appena aperto il portellone dell’aereo, ancora prima di scendere dalla scaletta, inspiro fortemente col naso… Aaaah, nei film non lo dicono!!! L’odore fortissimo e acre del cherosene mi percuote l’olfatto!!! Simpatica l’Africa, mi ha avvertito subito!!! Pensa bene prima di fare qualcosa, perché ogni gesto ha un significato. Imparerò ancora meglio la lezione molto presto.
Dopo un lieve capogiro dovuto alla botta del cherosene, rido fra me e me e insieme a cinque amici di un’altra associazione, l’MK Onlus, mi incammino verso il vecchio bus che ci porterà dentro all’aereoporto. Sono di origini indiane e anche se sempre e da sempre vivo in Italia, il caldo non mi spaventa e adoro il clima secco da 40° all’ombra! Però devo ammetterlo, all’aereoporto mentre compilavamo il modulo d’entrata la mia tolleranza stava scomparendo e le gocce di sudore per la schiena stavano prendendo il suo posto in maniera anche arrogante.
Ma alla fine, quando passa,il disagio è già un ricordo. Usciamo, arriviamo alla dogana. La mia missione in BF è quella di portare tre valigie, due di medicine e una di siringhe, alla Parroise de Bissighin di Padre Joseph ed al CREN di Sabou.
Io Saraswathie neolaureata in Sociologia, nella sua prima missione di volontariato e per la prima volta socia di un’associazione umanitaria: Solidaid® - Social Care.
Quello affidatomi è un progetto importante ed anche delicato perché il trasporto di medicine non è cosa semplice, i rischi sono molti e la mia nulla esperienza mi rende facile bersaglio di errori e confusioni. Non tarda quindi ad arrivare la prova del nove della temuta dogana.
Insieme al mio gruppo eravamo d’accordo di evitare l’apertura delle mie due valigie poiché il pericolo era quello di un eventuale sequestro delle medicine per omissone di chissà quale regola statale sulle imporazioni di farmaci ed un mio eventuale arresto.
Alla domanda del doganiere: “Che cosa c’è in quelle valigie?” non ho saputo altro che rispondere: “medicine!”.
Allarme! L’unica cosa da non dire era stata detta. Mi chiedono l’elenco di tutti i medicinali ma l’avevo lasciato dentro le valigie insieme a farmaci. E così il momento tanto temuto si è presentato. Valigia aperta. Medicine alla vista di tutti. Per fortuna sono estroversa e prendendo in mano la situazione. Mi ha aiutato anche Roberto a spiegare in buon francese lo scopo della mia mission, se da Roberto ho avuto un aiuto, da Luciano ho avuto un rimbrotto perché non avevo pensato di tenermi l’elenco nello zaino.
Menomale che il doganiere ha capito, ha richiuso la valigia con un liberatorio: “ ça va bien!”.
Voilà, come dicono loro! Primo pericolo scampato, siamo già a due: cherosene e dogana, quanti altri ne correrò?.
All’uscita dell’aeroporto ci aspetta il nostro autista, Paul, ragazzo divertente ed al quale mi sono affezionata col tempo, invero mi sono affezionata a tutti, anche ai pali della luce (dove e quando c’erano!). Roberto, 5 anni e mezzo fa, si è sposato con una burkinabè e adesso abitano in Italia e ad accoglierlo c’era tutta la famiglia di Sylvie. Bello, l’ho visto a casa sua qui, e l’ho un po’ invidiato. Nel frattempo abbiamo caricato le valigie, l’itinerario del viaggio non mi era chiaro e quindi seguivo tutto con stupore.
Prima destinazione: Frères de la Sainte Famille Centre d’Accueille Notre Dame de Lorette. Avremmo alloggiato qui per la maggior parte del tempo. Arriviamo, è veramente tardi e così in poco tempo ci dividiamo le camere e andiamo a letto. Faccio fatica a prendere sonno, sono lontano da casa e un po’ spaventata, a dirla tutta ho fatto in fretta a sentirmi sola come una bambina di 10 anni anziché sentirmi adulta come una ragazza di 25. Ho bisogno di distrarmi e così decido di fare un giro ma bisogna stare attenti alle zanzare, per via della malaria, qui endemica, per cui dopo un bagno nell’Autan apro la porta ed esco.
Non me le ricordavo più così belle, le stelle. Torno in camera e mi addormento senza neanche accorgermene.
04 - 05 - 06 maggio 2010
È passato un giorno, oggi martedì 4 maggio andremo a Nanorò a circa 40 km di distanza dalla capitale, Ouaga.
Ieri ho avuto il tempo per ambientarmi facendo un giro al mercato: infradito e sole in faccia. Come si dice: ho superato la notte.
Il tragitto per andare verso Nanorò è stato un viaggio in un furgonato FIAT di almeno 15 anni, fatto in compagnia di Roberto e suo suocero, Pascal Tapsoba Wendguietpzanga. Un uomo d’altri tempi e tradizioni.
La strada, anzi, lo sterrato era di colore rosso mattone. Decisamente scoscesa; durante il viaggio Pascal mi ha spiegato che è stato lui uno dei capi costruttori responsabile di quel collegamento stradale tra la capitale e Nanorò e che è stato anche costruttore della diga che avremmo visitato giovedì prima del rientro a Notre Dame de Lorette.
Prima di arrivare a Nanorò ci fermiamo a fare visita ad un villaggio locale, povertà e caldo. Botta al cuore ma tanta curiosità e pure desiderio di fare parte di una comunità, stretta intorno alla loro felice miseria. Felicità perché non conoscono un altro metro di paragone, io mi sono sentita tanto ricca di cose ma povera di contenuti.
Le case sono fatte d’argilla ed acqua, una stanza sola per ognuna delle funzioni domestiche: la cucina, i letti, i magazzini, il “salotto”…tutto spoglio, si dorme e si siede per terra o al massimo fuori, in sgabelli di legno. Due uomini, molte donne e una decina di bambini dai 3 mesi a 8, forse, anni. Altri bambini sono a scuola ma ci spiegano che non tutti ci vanno, perché temono che la scuola rubi i bambini. Effettivamente è comprensibile, un bambino istruito non credo che tornerebbe a vivere di niente. Perché qui, nei villaggi appena fuori dalla capitale, si vive così, di niente. È il sole ed è la pioggia, è la luce ed è il buio che regolano la vita. No elettricità e l’acqua è lontana. Ma non troppo, a volte: è bello durante il viaggio incontrare qualche pozzo di acqua potabile, a mano!
Ci fermiamo presso un lago artificiale perché abbiamo visto i caimani, ma mentre noi guardavamo i caimani altri occhietti neri ci avevano avvistati da in mezzo al Bush…Bambine e bambini, che un minuto prima erano a metri e metri di distanza ed un minuto dopo erano davanti a te a guardarti, osservarti. E io li ho osservati, guardati e ho fatto vedere loro la foto scattata insieme. Perché di quello, con meraviglia, gioiscono.
Col cuore in mano, risaliamo in macchina e ripartiamo. Una stele recita:
Bienvenue a Nanorò. Ne-y Waonoo.
Arriviamo così al centro dei frati camilliani accolti da Padre George. Qui a Nanorò MK Onlus ha attuato un progetto chiamato: Progetto agricoltura attiva 1, con i ragazzi del liceo agricolo. I cinque migliori della scuola. Il centro è fornito di terre rese coltivabili con annesso allevamento di: mucche, galline, maiali e conigli, oltre ad avere anche gli asini (molto diffusi).
I ragazzi si dovranno occupare di coltivare miglio e ortaggi poiché questo richiede la loro preparazione oltre che teorica anche pratica. Il ricavato andrà metà a loro e l’altra parte verrà devoluto al CREN di Nanorò.
In questi giorni ho legato molto con Jeanine la nostra interprete; molti autoctoni parlano moorè (il dialetto principale in BF) e così Jeanine è venuta con noi, lei infatti parla sia l’italiano che il francese che il moorè.
Nanorò è molto interessante, ho l’occasione non solo di osservare ed imparare come si attua un progetto, ma anche l’opportunità di prendere i contatti in maniera autonoma e professionale con la struttura ospedaliera dei frati camilliani.
Solidaid® infatti vorrebbe realizzare in Burkina Faso vari progetti.
Quindi, vado al CREN nel reparto pediatria e imparo che qui lavorano i dottorandi dell’Università di Firenze, conosco Valeria specializzanda in pediatria. Le parlo di alcuni progetti che abbiamo in elaborazione da portare nei villaggi e nell’ospedale in particolar modo. Il CREN di Nanorò è bello, ordinato e pulito. È efficiente. La clown terapia mi dicono che può servire tanto e così ci scambiamo i contatti e- mail.
Sono felice la mia prima missione è compiuta!
Oggi fa veramente caldo, ci sono 48 gradi, il tempo è bello, c’è il sole e il suo calore.
Ogni volta penso: la mia Africa!.
Seguo la presentazione dei partecipanti al progetto “Agricoltura attiva 1”, dei responsabili e degli sponsor, guardo e imparo.
Al rientro ci fermiamo sotto il capannone rotondo del centro e brindiamo, per poi pranzare tutti assieme.
All’improvviso il cielo si copre di nuvoloni e viene a piovere! E io che credevo ci fosse sempre il sole in Africa!!!
Autan a non finire per paura della “anopheles mosquito”, alla sera conversiamo e ci scambiamo impressioni tutti insieme, domani partenza.
Comunque, sono stata fortuna perché il giorno prima era sereno e così almeno la notte precedente ho potuto ammirare un cielo stellato, magico…ho contato cinque stelle cadenti, ho espresso un solo desiderio…vedremo!
Un amico del posto mi ha raccontato che quando era piccolo chiese a sua madre perché le stelle quando le guardi tremano. Lei gli rispose che è perché le stelle si emozionano quando qualcuno le guarda. Deve essere vero. E comunque sia, è reciproco.
Saluti, grazie Nanorò mi hai dato molto…prima di partire andiamo a vedere un “barrage” una diga. Lago artificiale…un panorama stupendo.
Rientriamo a Notre Dame de Lorette stanchi ma soddisfatti, ci si riposa un po’, ma Solidaid® è capace di unire l’utile al dilettevole e così dopo aver pranzato in una stradina al centro di Ouaga vado a consegnare dei documenti a Mario.
Al pomeriggio ho 2 appuntamenti uno alle 15:00 e uno alle 16:00, ma chi troppo vuole, nulla stringe e così arrivo in ritardo al primo appuntamento. Mi dispiace e me ne scuso, ancora.
Alle 16:00 arriva Padre Joseph, sorridente e accogliente. È lui il responsabile della Parrocchia di Bissghin che conta 21.000 abitanti per 2.600 KMq ed è lui che ci ha chiesto, ed al quale doniamo, due valigie di medicinali.
Jeanine, ormai amiche, è venuta con me per aiutarmi con il francese.
Con P. Joseph parliamo inoltre della “clown terapia”, per portarla anche alla gente della sua ampia Parrocchia. Ne è entusiasta, ça va bien! Bello! Sono contenta, prendo sicurezza e questo è importante, come prima esperienza me la sto cavando bene… Chiedo anche sulla possibilità di portare giù ginecologhe e pediatri ed anche questa proposta riscuote consenso.
Okay, tutto a posto. Accennato a questi progetti futuri, veniamo al progetto di Maggio 2010: Solidaid® per il Burkina Faso.
Informo P. Joseph, che è venuto accompagnato da Raymond, un ragazzo che sta studiando per diventare infermiere, del contenuto delle valigie e di quello che sarebbe stato il lavoro da fare con tali medicine all’indomani, quando mi sarei recata nella loro Parrocchia per portare i medicinali e dare il via al progetto di assistenza sanitaria per il quale abbiamo lavorato con l’associazione.
Durante il meeting con Padre Joseph si crea una bella atmosfera, seria, di rispetto e attenzione ma anche gioiosa e benaugurante. Mi spiega dell’urgenza dei medicinali richiesti: “a giorni comincerà a piovere, molto, e per decine e decine di giorni!”. Molti suoi villaggi resteranno completamente isolati, con “strade” impraticabili, senza corrente e senza poter comunicare tra loro. Da qui la necessità di rifornirli al più presto di medicine “salvavita”.
Mi dice poi che è originario del Togo e che ha studiato in Francia e che non è mai stato in Italia. È qui a Ouaga da circa quattro anni, io invece gli racconto dei miei studi e della nascita dell’associazione, poi arriva sera e ci salutiamo, con l’aspettativa del giorno da affrontare.
Esco a cena con il mio gruppo di viaggio perché abbiamo appuntamento con i responsabili della Reach Italia un’organizzazione ONG importante che opera in Burkina da circa 40 anni.
Conosco Gloria la responsabile di un progetto di rimboschimento in Burkina per un totale di quasi 8000 ettari. Spiego l’attività di Solidaid®, fino all’assistenza sanitaria. La promessa è quella di rimanere in contatto.
La giornata è stata lunga ed alla sera mi vedo con il mio amico Marcellin, quattro chiacchiere e poi lo saluto. Domani avrò molte cose da fare!
07 maggio 2010
Questo Venerdì, per Solidaid è il giorno più importante della settimana.
Oggi il resto del gruppo andrà all’orfanotrofio di Ziniarè, io, con Jeanine, andrò con P.Joseph alla Parrocchia di Bissighin per dare il via al progetto.
Arrivati alla Parroise rimango stupita dall’ampio terreno che circonda la chiesa e l’edificio con gli uffici.
Scarichiamo le valigie e diamo via al rituale ufficiale della consegna dei medicinali. Io e P.Joseph un po’ imbarazzati, vicini per la foto, con le due valige ancora chiuse davanti e stracolme.
Segue poi la consegna dell’attestato della donazione e da parte di P. Joseph dell’attestato dell’avvenuta ricezione dei medicinali.
Restiamo ora io, Jeanine e Raymond, nell’ufficio di P. Joseph, ad aprire i pacchi contenenti le medicine per spiegare le indicazioni terapeutiche ed il dosaggio di ogni medicinale. L’amica Chicca, farmacista, mi ha istruito a dovere per una settimana.
Il caldo insistente ci ha portati a trasferirci all’aperto per poter lavorare meglio, respirando l’aria calda e profumata dell’Africa che fa compagnia durante il compito.
Assorti come eravamo, siamo stati avvisati all’ultimo momento di un’imminente tempesta di sabbia proprio sulle nostre teste e così, raccolti in fretta tutti i medicinali e messi di nuovo dentro alle valigie, corriamo al riparo appena in tempo. Il vento caldo soffia molto forte e le stanze si riempiono di sabbia in un battibaleno.
In men che non si dica il cielo era di colore grigio mattone e ogni tanto iniziavano ad udirsi anche forti tuoni.
Piove. Umido. La pioggia africana rende il clima ancora più tropicale e la voglia di andare a correre sotto l’acqua a piedi scalzi era intrattenibile, ma ho resistito. Almeno fino all’ora del pranzo. Per poter raggiungere la sala da pranzo dovevamo raggiungere un edificio poco distante, ma distante quel tanto per arrivare alla tavola zuppi d’acqua. Lavarsi le mani, preghiera e.. spaghetti in bianco a causa di un forte malessere dovuto all’aria condizionata dimenticata accesa la notte precedente.
Dopo, facciamo una pausa e colgo l’occasione per salutare P. Joseph che deve andare via in visita ad altre Parrocchie. Mi ha fatto piacere conoscerlo, è una persona profonda.
Rimaniamo da soli noi ragazzi e facciamo durare la siesta un po’ più del dovuto. Meglio, abbiamo chiacchierato e ammirato dal terrazzo un panorama che spero col cuore di rivedere.
La mia Africa, penso. Di nuovo.
L’odore della terra bagnata, la voce degli alberi, il richiamo degli uccelli ed il colore del cielo hanno riempito di evocazioni ataviche la mia testa ed il mio spirito e lì mi sono sentita proprietà della terra, proprietà del mondo, proprietà della cultura. Voglio tornarci, in Burkina.
Il lavoro ci chiama, anzi, per meglio dire... è Raymond che ci richiama al lavoro…una corsa per tornare agli uffici e di nuovo a testa china sopra ai foglietti illustrativi. Ristorati dal pranzo e dalla pausa finiamo in fretta e rimane il tempo per fare un ultimo ripasso e sistemare le medicine in uno stanzino, pronte per essere spiegate al personale paramedico da Raymond stesso, che non smette mai di prendere appunti.
Bella esperienza! Anche il mio francese va migliorando e così anche con Raymond è più facile interagire e sincerarmi che per qualsiasi dubbio o problema non esiti a contattarmi per e-mail.
Il tempo a nostra disposizione termina, ma riesco a invitare Raymond e un altro prete che ci avrebbe riportato all’albergo a trattenersi a Notre Dame de Loretta per un ultimo saluto e per rinforzare i legami.
Finchè non sono rimasta sola non avevo capito quanto questa giornata mi avesse stancata, ma
appena salita in camera, per rinfrescarmi, ho dovuto lottare con tutta me stessa per non crollare sul letto per poi svegliarmi la mattina dopo..o forse addirittura il pomeriggio!
Vedere negli occhi di Raymond la gratitudine per i farmaci che avevo portato. Vedere che se per noi è scontato avere la cura per una malattia, attraverso gli occhi di un altro uomo con i miei stessi diritti ma non con le mie stesse possibilità è stato davvero toccante, a ripensarci mi verrebbe voglia di aprire una intera casa farmaceutica destinata ai davvero bisognosi!
Arriva la sera, ho un altro importante appuntamento. Siamo invitati a cena dal Nunzio Apostolico.
Cena golosa, curata da Patrizia, “donna di Romagna”, e conversazioni semplicemente umane hanno reso la serata particolare; felice anche di questa opportunità ringrazio Mons. Rallo della sua disponibilità (non avevo mai incontrato un ambasciatore del Papa!).
Ma questa non è sola la sera della “nunziatura”, è anche la sera in cui Luciano, Roberto e Patrizia rientrano in Italia mentre io, Carla ed Anna rimarremo fino a domenica.
Dopo i saluti un po’ triste salgo in camera mia e ripenso alla giornata appena trascorsa. Ho fatto tante cose e provato tante emozioni e mi sembra strano che sia durata solo 12 ore…mi sembra di essere in ballo da una settimana!
Mi sono addormentata soddisfatta, abbracciando il cuscino e godendo dei notturni 30 gradi africani ho sognato di correre nelle vaste distese della savana e di essere parte di un popolo e di una cultura che mi hanno molto coinvolta. Ho avuto la possibilità di entrare nel cuore delle persone e di poter essere parte di un sistema comunitario forte, perché i burkinabè quando ti danno il loro cibo,la loro acqua, la loro attenzione, la loro fiducia ed il loro affetto, ti danno realmente tutto ciò che hanno. Parole chiave è comprensione. Si, perché una volta compresa davvero la loro condizione, è impossibile non aiutarli. A proposito, grazie per i tre manghi del tuo albero P. Joseph. Sono veramente buoni!
08 maggio 2010
Sabato, arriva in fretta il penultimo giorno in BF e ne approfittiamo per fare i turisti nel vero senso della parola.
Con Anna, Carla, Jeanine e Gloria (la volontaria di Reach Italia) andiamo verso Sabou a vedere i caimani sacri.
Per 1000 FCA in più potevamo prendere il pollo da dar da mangiare ai caimani. Anna, Jeanine e Gloria preso coraggio si sono avviate verso il lago accompagnate da un insistente (ma anche angosciante) “PIO PIO”; io e Carla non abbiamo potuto seguirle prese dai rimorsi e inchiodate con i piedi al terreno e lo sguardo fisso negli occhi di quel “pauvre petit poulet!!” (povero piccolo pollo, ndr)... erano decisamente meglio le innocue e grandi tartarughe nel recinto di fianco!
Dopo una ventina di minuti, scongiurato il pericolo del polletto mangiato dal caimano per mano dell’uomo bianco, ci avviciniamo alla riva del fiume e facciamo qualche foto (abbiamo poi ritrovato il “pauvre petit poulet” vivo e vegeto, con nostra gioia)..Ad un tratto sento un suono. Il mio orecchio allenato alla musica si tende e riconosce quelle percussioni: Djembe! Original djembe burkinabè! Chiedo al ragazzo che ci ha accompagnate al lago di farci strada per vedere i suonatori di tamburo. Non può non venirmi in mente la mia amica che prima di partire mi ha espressamente chiesto di portarle a casa un Djembe! Sono enormi, o le valigie o il tamburo... Amica, ti faccio un video... spero tu possa accontentarti! Rientriamo a Notre Dame de Lorette per riposarci un po’, cambiarci e uscire a cena con Teophilè dell’associazione “Mani Tese” poiché abbiamo appuntamento con lui. Il suo lavoro è quello di costruire dei “forages”. È una buona occasione per parlargli anche del nostro progetto di costruire pozzi d’acqua potabile per i villaggi, così abbiamo discusso sui tempi di perforazione, sui costi e sugli eventuali luoghi dove farli.
Tempo di fare questa riflessione che nel tavolo dietro di noi mi accorgo di due ragazzi italiani che stanno parlando tra loro. Alessio mi chiede l’accendino e così una chiacchiera tira l’altra e vengo a scoprire che insieme alla sua amica e collega Caroline, sono appena tornati da un ospedale nel Benin, dove hanno prestato sevizio volontario lui come pediatra specializzando e lei come ginecologa, anch’essa specializzanda. Sono di Milano ma lavorano al Policlinico Gemelli di Roma. Parliamo molto e ci scambiamo informazioni ed opinioni su come fare affinchè un intervento di educazione ed assistenza sanitaria sia realmente efficace ed efficiente, quindi incisivo, in Burkina. I due ragazzi partiranno la sera stessa e così ci scambiamo gli indirizzi mails creando un nuovo legame anche per un prossimo progetto sulla sanità in BF. Fatico un po’ ad addormentarmi, è la sera dell’ultimo giorno e inizio a captare il giungere della tristezza. Guardo un po’ le foto fatte durante questi giorni e spengo la luce. Mi addormento ma purtroppo in due secondi è già l’alba. Non so il perché ma certe notti sembrano durare meno di altre e questa è una di quelle. Peccato, davvero. È già domenica, è già arrivato l’ultimo giorno.
09 maggio 2010
Mattino, scendo alle 8.30, ho appuntamento con Jeanine per fare la nostra ultima colazione insieme.
Oggi andremo a visitare il CREN di Sabou, diretto da Suor Marie.
Il CREN è il Centro di Recupero Educazionale e Nutrizionale per le mamme che portano dai villaggi i loro bambini denutriti.Il lavoro delCRENconsiste nel visitare e curare i bambini con flebo contenenti soluzione fisiologica e nel frattempo alimentarli con pappette ad altissimo valore calorico. La ricetta per fare queste pappette verrà poi insegnata alle mamme, verranno anche indicate loro le giuste quantità così da poter nutrire autonomamente i piccoli figli senza l’assistenza delCREN stesso. I servizi sono a pagamento così da rendere consapevoli le madri che il valore della buona nutrizione non deve dipendere da terze persone ma che è una loro responsabilità diretta, nonostante la povertà in cui versano.
Qui Solidaid® ha concretizzato il suo secondo progetto, la sua seconda mission dopo le medicine: portare una valigia piena di siringhe ed aghi, per trasfusione e prelievo, per il CREN di Suor Marie.
L’incontro è stato bello, Suor Marie è medico ed ha servito anche in Italia dopo la sua Francia, ed è da quasi 3 anni che si trova in Africa per dedicarsi al recupero dei bambini malnutriti.
Molti piccolini portati qui hanno circa un anno, arrivano a pesare a malapena 1 o 2 kg per cui la necessità primaria è quella di fornire il CREN di medicinali e cibi altamente nutrizonali. Sono riuscita ad avere la lista dei farmaci più richiesti e degli integratori energetici a base di arachidi, zucchero e cacao e così, è nata una nuova missione, un nuovo obiettivo.
La nostra visita è finita, oggi ci sono 49 gradi, è ora di tornare verso Ouaga perché si devono preparare le valigie.
Alle 3.40 di notte partiamo per tornare a casa. Sono un po’ triste... lasciare paesaggi, luoghi e persone che chissà fra quanto rivedrò.
I nuovi amici vengono a salutarmi all’entrata della “departures” dell’aereoporto, l’atmosfera è scherzosa e spensierata ma tutti pensiamo alla stessa cosa: è dura separarsi.
Mancano 10 minuti all’apertura del check-in... È stato un piacere conoscervi.
Buon viaggio, che Dio sia con voi: Mamsouri yanogo mesenbangueyamba. Wennansiki laafi.
Saraswathie Volta
L’esperienza fatta con Solidaid è stata una delle migliori opportunità che poteva essere offerta ad una studentessa di 18 anni come me. Il problema delle grandi associazioni sta nella selezione che effettuano al momento di scegliere il personale, il che rappresenta un vero e proprio ostacolo nel momento in cui si desideri “fare qualcosa” senza però avere una laurea o un mestiere da esercitare. Poter vedere l’Africa con i miei occhi è stato importante. Si perché ho capito quanta differenza c’è tra ciò che mostrano i mass media e la realtà; importante perché mi ha permesso di mettere in discussione la mia normalità ( avere acqua potabile o vestiti da cambiare ogni giorni, per esempio).
Due settimane di permanenza presso la comunità di Bissighin e dieci giorni di lavoro nel loro dispensario come “operatrice sanitaria” possono sembrare pochi e paiono veramente pochi quando ti accorgi di esserti davvero affezionata a quei luoghi e a quelle persone, però sono abbastanza per fare cose concrete.
Il sentimento di sconforto all’inizio è tanto perché vedi problemi enormi e pensi di non poter fare nulla. Ma dopo qualche giorno, quando le persone cominciano a tornare in ambulatorio solo per ringraziarti perché le medicine funzionano e stanno meglio, allora inizi a realizzare che ci sono cose che possono essere fatte anche da persone normali, senza pretese di salvare il mondo.
Non esagero nel dire che mi emoziono tanto ogni qualvolta ripenso a quei bimbi, ragazzi e anziani e penso che tornerei là altre mille volte ancora.
Ci sono solamente seimila chilometri tra l’Italia e la gente del Burkina Faso.. non sono poi così lontani da noi!
Cecilia Baldelli
Oggi lo chiamano "il verme della Guinea" ma pare che nella Bibbia fosse il nominato "serpente di fuoco" che afflisse il popolo di Mose' durante i quarant'anni dell'Esodo.
Sono da due giorni a verificare spazi, in nord Burkina, per odierni e futuri interventi di collaborazione d'aiuto.
Il primo manifesto, con quattro foto sbiadite dalla luce e dal tempo, appena dentro il dispensario di Gandafabu' ( 20 km dal Mali) mostra altrettante parti del corpo da cui esce da piaghe, un lungo e diversamente grosso "filo biancastro" e , subito sotto il manifesto, un foglio con una statistica ove sono registrati da un anno ad ora, settimama per settimana, i casi di verme della guinea qui rilevati..circa due o tre la settimana.; ma solo sulle persone che si sono presentate per la cura. Il dispensario serve un raggio di 50km attorno. L'acqua malsana e' il mezzo piu' rapido che usa l'infezione per trovare casa e crescere dentro al corpo fin'anche 1 metro! e per 1 giorno , di pozzi d'acqua potabile attorno non ne incontro.
Caldo, questo gennaio! Parliamo con una giovane ostetrica ,la presenza medica qui, che mi accompagna al.. monocubo della poverissima farmacia (una delle nostre donazioni di medicinali restera' ). Tornato sotto l'albero nella spianata del presidio medico, cercando il ramo piu' frondoso,si avvicina una magra donna che senza dire nulla si accovaccia sulla terra rossa e sotto un leggero e grande mantello giallo pare tenere le braccia conserte. Invece dopo un po' ci si accorge che ha in braccio un bimbo piccolo piccolo denutrito ; lei e' la zia e lo sta cullando in attesa della morte! Non chiede aiuto e' soltanto venuta vicino a noi ..la situazione, e' incredibile .. surreale!..Normale qui. L'ostetrica compreso il nostro malessere dice che un tentativo di salvezza sarebbe usare la nostra jepp e l'autista per portare zia e bimbo a due ore di viaggio, c'e' un CREN -ma nessuno ci chiede di farlo- pagando per il "fuori programma" 14.400 cfa (22€).Due giorni dopo ci comunicano che la bimba , era una femminuccia, e' stata ripresa.
Davanti al terzo stabile del dispensario, dopo l'ambulatorio e la farmacia, sta parcheggiata una moto-ambulanza, tre ruote e un cassonetto aperto dietro: ha due gomme forate..qui in pieno Shael il terreno e' talmente arido che molte piante e arbusti
anziche foglie producono spine lunghe e durissime, buone per le capre ma fan strage di gomme..A 280 km da Uagadougou fuori da strade trafficate , secco incredibile senza acqua potabile pochi sanno di questi luoghi medici non vengono, medicine non giungono, acqua non sgorga.. solo la gente Peùl, quella si e vuol restare!
W.V.
Riguardo le foto di questo viaggio e tutto quello che vi trovo è gioia e serenità e sorrisi aperti. Quasi non me ne sono resa conto trascorrendo 12 giorni nell’orfanotrofio di Guilongou in Burkina Faso, ma la differenza tra quell’esperienza e la vita quotidiana delle nostre città “civilizzate” mi si presenta netta quando riguardo gli scatti: c’è la terra rossa ovunque nelle inquadrature, dall’orizzonte più lontano ai primi piani delle nostre mani e vestiti; c’è la luce del sole nitida e calda che sentivo picchiare sulla testa fin dalle prime ore del giorno; ci sono io, che sorrido con uno sguardo sereno che quasi stento a riconoscere come mio; ci sono poi le persone, in particolare i visi dei bambini dell’orfanotrofio, che parlano con gli occhi, anche senza dire una parola.
I timori iniziali di non essere pronta alla situazione si sono dileguati dopo i primi 5 minuti nella prima mattina all’orfanotrofio, quando 5 bambini tra i 3 e i 6 anni mi sono corsi incontro afferrando con forza le mie mani, avvolgendosi alle mie gambe, protendendo le braccia nella richiesta di essere sollevati in aria. La nostra conoscenza si è rafforzata in 10 giorni di canzoni, di disegni colorati, di giochi con la palla, di salto della corda, di ore ed ore passate insieme, comunicando con quel poco di francese che tutti eravamo in grado di parlare ma comunicando soprattutto con le emozioni che sentivo fluire in entrambe le direzioni, in uno scambio libero e incondizionato di affetto e attenzioni di cui io avevo bisogno quanto loro.
Mi sono chiesta prima di partire cosa mi spingesse a fare un’esperienza di “questo” genere e mi sono anche chiesta a posteriori se le mie motivazioni al viaggio avessero trovato realizzazione nell’esperienza fatta o se fossero rimaste inappagate.